LA FIDANZATA ANASTASIYA INDAGATA
SI STA FACENDO LUCE SULL'AFFARE CHE DOVEVANO PORTARE A TERMINE: 70MILA EURO (NASCOSTI NELLO ZAINO DI ANASTASIA?) PER ACQUISTARE 15 CHILI DI MARIJUANA...
Alessia Marani, Camilla Mozzetti e Giuseppe Scarpa per www.ilmessaggero.it
Altri arresti per l'omicidio di Luca Sacchi, ucciso con un colpo di pistola alla testa il 23 ottobre scorso a via Latina a Roma. Dalle prime luci dell’alba, i Carabinieri del Comando Provinciale di Roma stanno dando esecuzione ad un’ordinanza emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Roma, su richiesta della Procura che dispone misure cautelati nei confronti di 5 persone, per le indagini relative all’omicidio del personal trainer 24enne. C'è anche Giovanni Princi, l'amico di Luca Sacchi, tra i destinatari delle misure cautelari.
Al ventiquatrenne, ex compagno di scuola di Sacchi, finito in carcere viene contestato insieme ad Anastasia Kylemnyk, per la quale è stato disposto invece l'obbligo di presentazione in caserma, il tentativo di acquisto di un ingente quantitativo di droga. Luce anche sull'affare che i ragazzi dovevano portare a termine: 70mila euro (probabilmente nello zaino di Anastasia) per acquistare 15 chili di marijuana.
Destinatari della misura della custodia cautelare in carcere, per concorso in omicidio pluriaggravato, rapina aggravata, detenzione illegale e porto in luogo pubblico di un’arma comune da sparo sono già i due reclusi nel carcere di Regina Coeli - Valerio Del Grosso, pasticcere di Casal Monastero e Paolo Pirino suo complice con diversi precedenti alle spalle per rapina e spaccio - perché fermati nei giorni successivi all’omicidio e un terzo ragazzo 22enne considerato colui che materialmente li ha armati di un revolver calibro 38.
L'operazione di questa mattina arriva a sorpresa mentre da giorni sono in corso gli accertamenti irripetibili disposti dalla Procura su telefoni, mazza da baseball, zainetto di Anastasia. Ed è proprio la figura di questa giovane 25enne quella che fin dall'inizio è apparsa tra le meno chiare nell'omicidio di Sacchi. La Kylemnyk la sera dell'omicidio si trovava in via Latina con la vittima. Quando i carabinieri dall'ospedale San Giovanni l'hanno condotta al Nucleo investigativo di via In Selci per ascoltarla in merito alla dinamica, ha dichiarato di avere pochi soldi nello zaino e che la droga non c'entrava nulla.
La sua versione fu ritenuta inattendibile anche a fronte di quanto avvenne dopo poco: l'arresto di Del Grosso e Pirino e le deposizioni rese in Questura da alcuni testimoni e dagli intermediari del pasticcere di Casal Monastero, Valerio Rispoli e Simone Piromalli, che parlarono di una ragazza (Anastasia) che prese parte alla trattativa per l'acquisto di droga. Trattativa che, stando alle prime ricostruzioni fu avviata da un ex compagno di scuola di Sacchi, Giovanni Princi, già alcuni giorni prima dell'aggressione grazie alla conoscenza di quest'ultimo con il Rispoli.
Questa mattina l'abitazione della fidanzata di Luca è stata perquisita. L'attività istruttoria rientra nell'operazione che ha portato oggi all'emissione di cinque provvedimenti cautelari nell'ambito dell'indagine sull'omicidio del giovane personal trainer ucciso il 23 ottobre scorso. Per Anastasia, che risulta indagata, è stata applicata la misura dell'obbligo di firma: è accusata di avere tentato di acquistare un ingente quantitativo di droga la sera dell'omicidio.
Fonte: qui
“TE STAI A CAGA’ SOTTO…”; “NO, IO VOGLIO FA UN CASINO”
L’OMICIDIO DI LUCA SACCHI INTERCETTATO IN DIRETTA DAGLI INVESTIGATORI
LAPOLIZIA INDAGAVA SU MARCELLO DE PROPRIS E LO ASCOLTA MENTRE PARLA CON DEL GROSSO DELLA MARIJUANA E DELLA PISTOLA. IL 21ENNE CHE FARÀ FUOCO CONTRO IL PERSONAL TRAINER: “STO CON UN AMICO MIO CHE CONOSCI, BELLO FULMINATO! SENTI, MA SE GLIELI LEVO TUTTI E SETTANTA?”
«Ascoltami, ma se famo invece comeeee… sentime, a parte i scherzi, sto con un amico mio che conosci, bello fulminato! Ma se invece io vengo a prendeme quella cosa che mi hai detto ieri e glieli levo tutti e settanta? Vengo da te… te faccio un bel re…»: come avvenuto forse mai, l’omicidio di Luca Sacchi viene intercettato in diretta dagli investigatori.
Chi pronuncia la frase sopra riportata è infatti Valerio Del Grosso, il 21enne che poi farà fuoco con un revolver calibro 38 contro il personal trainer, e sta annunciando a Marcello De Propris, che gli deve fornire i 15 chili di marijuana per concludere lo scambio, la sua intenzione di prendere lo zaino di Anastasiya con i settantamila euro («Glieli levo tutti e settanta...») senza consegnare la merce. Una circostanza, assieme al fatto di aver fornito a Del Grosso e Pirino l’arma poi usata contro il 24enne, che vale per De Propris l’accusa di concorso in omicidio.
L’accordo per avere la droga
Dall’analisi delle intercettazioni, spiega il gip Costantino De Robbio, «è evidente che l’incontro programmato tra Del Grosso e De Propris interessa il primo più che il secondo, poiché è Del Grosso a contattare più volte il suo interlocutore per ricordargli, quasi ossessivamente, l’incontro». Del Grosso si “raccomanda” di avere quello che ha chiesto (la droga e la pistola): «Te amo! Me raccomando» e poi lo richiama essere sicuro che l’amico non si tiri indietro «Aho! Me raccomanno, eh? Non famo scherzi eh?».
«Stiamo a imballà il Gameboy»
I due si risentono poco prima dello scambio: «Stamo a pijà… sto a imballà», gli dice De Propris , usando la parola Gameboy come sinonimo di droga. Ancora una volta Del Grosso reitera le sue raccomandazioni: «Ok però mi ascolti un attimo? Nun famo cazzate eh? Nun famo cazzate!». Alle 21,30, 10 minuti più tardi, e in quella circostanza Del Grosso gli annuncia il suo piano che sfocerà nell’omicidio. L’«amico bello fulminato» a cui fa riferimento è Pirino, che scende dalla Smart e colpisce Anastasiya e Luca con la mazza da baseball.
«Voglio fare un casino»
A ulteriore conferma c’è un’altra telefonata di Del Grosso a De Propris: «È un po’ ambigua la situazione, lo sai? Non poi capì Marcè quanti so… non poi capiiii…. Me sta a partì la brocca proprio de brutto…». De Propris lo schernisce, annota il gip, dichiarandosi sicuro che il Del Grosso non sarà capace di portare a termine il piano: «Te stai a cagà sotto… te stai a cagà stto…», ottenendo la reazione del killer che ribatte: «Io invece voglio fa un casino». Fonte: qui
“E’ STATA UNA ESECUZIONE”
LE RIVELAZIONI DI UN TESTIMONE SULL'ASSASSINIO DI LUCA SACCHI: “GLI HANNO SPARATO ALLE SPALLE MENTRE ERA CHINATO”
GLI ARRESTATI FANNO SCENA MUTA DAL GIUDICE
ANCHE LA VITTIMA USAVA CHAT SEGRETE, IL SUO BANCOMAT SPARITO NEL NULLA
LA MAMMA DI LUCA: "STRANI SGUARDI TRA PRINCI E ANASTASIYA"
LA FOTOSEQUENZA DEL DELITTO RIPRESA DALLE TELECAMERE
Rory Cappelli e Francesco Salvatore per “la Repubblica”
Valerio Del Grosso si è presentato sbarbato, con i capelli corti. Paolo Pirino pieno di tatuaggi, l' aria tetra. Marcello De Propris barba lunga e capelli rasati. Giovanni Princi, vestito di nero, ossequioso e rispettoso con i giudici, unico laureato del gruppo come ha tenuto a sottolineare declinando le generalità, ha dato la mano a tutti tranne che alla pm e ha detto: «Mi scuso di non poter rispondere: ma non abbiamo avuto il tempo di leggere le carte».
Tutti e quattro gli arrestati con varie accuse nell' ambito dell' indagine per l' omicidio di Luca Sacchi, il personal trainer ucciso con un colpo di pistola alla tempia il 23 ottobre all' Appio Latino, si sono avvalsi ieri, davanti al giudice Costantino De Robbio e alla pm Nadia Plastina, della facoltà di non rispondere. Del Grosso è stato l' unico a rendere dichiarazioni spontanee dicendo: «Non volevo uccidere nessuno, era la prima volta che prendevo un' arma in mano».
A parlare per loro, fuori dal carcere Regina Coeli dove si sono ( o meglio non si sono) svolti gli interrogatori di garanzia, i rispettivi avvocati.
«Princi - ha detto il suo difensore Massimo Pineschi - è addolorato per la morte del suo amico al quale era legatissimo. Per lui è stata una vicenda dolorosissima. Anche i genitori di Princi, con i quali ho parlato, sono sconvolti. Il mio assistito è scosso, è alla sua prima esperienza detentiva, potete immaginare come sta. Valuteremo il ricorso al Riesame dopo avere letto tutti gli atti» .
L' avvocato di Valerio Del Grosso ha detto che il suo assistito « non si sa dare una spiegazione a quello che è successo quella sera ed è da un mese che non pensa ad altro».
Intanto nell' informativa depositata dai carabinieri in procura a corredo dell' ordinanza cautelare, si trova l' interessante verbale reso poche ore dopo l' agguato all' Appio Latino da Domenico Costanzo Marino Munoz, studente cileno e amico di Luca, con il quale condivideva la passione per le moto. Luca, ha fatto mettere a verbale Munoz, usava l' applicazione Signal, servizio di messaggistica criptato. Si tratta della stessa app di cui si serviva la fidanzata Anastasiya. «Alle ore 22,30 del 23 ottobre - afferma l' amico di Sacchi - ho ricevuto, tramite Signal, un messaggio da parte di Luca, il quale mi comunicava che era in compagnia della sua fidanzata Anastasiya e mi invitava a raggiungerlo per bere una birra al pub di via Bartoloni».
Altri particolari emergono dall' informativa dei carabinieri. Come quello della sparizione del bancomat di Luca, denunciata dal padre.
O come il fatto che Simone Piromalli, uno dei due mediatori di Del Grosso mandati a controllare che gli acquirenti avessero il denaro, afferma che Princi era già un cliente di Valerio Rispoli, l' altro mediatore. Un testimone sostiene che a essere colpito con la mazza da baseball sia stato Luca Sacchi: « Ho visto arrivare alle spalle del ragazzo due persone, entrambe di sesso maschile.
Ho visto la donna fare un movimento di scatto mentre, in contemporanea, una delle due persone impugnando qualcosa di metallico con entrambe le mani, colpiva il ragazzo che era in compagnia della donna » racconta Alessandro C. «Da come l' oggetto veniva maneggiato doveva essere pesante. Il ragazzo, sorpreso alle spalle, veniva violentemente colpito alla nuca dalla persona che impugnava l' oggetto metallico. Dopo aver ricevuto il colpo il ragazzo si è piegato in avanti, poi è stato colpito nuovamente, questa volta al centro della schiena». Poi il colpo di pistola.
Ieri sera, poi, a Porta a Porta, la madre di Luca Sacchi, Tina Galati, ha parlato di Anastasiya: « Per me era come una figlia. Ricordo come stavamo insieme, ci divertivamo e scherzavamo sempre. Oltre a Luca, mi manca quel periodo».
Oggi alle 11 Anastasiya ( indagata per droga e sottoposta all' obbligo di firma) sarà sentita dal giudice per l' interrogatorio di garanzia.
LUCA SACCHI, ECCO LA FOTOSEQUENZA RIPRESA DALLE TELECAMERE LA SERA DELL'OMICIDIO
Messaggi criptati. Non erano solo Valerio del Grosso e Paolo Pirino, i due pusher accusati dell'omicidio di Luca Sacchi, a utilizzare canali di comunicazione non intercettabili. Anche Luca Sacchi comunicava attraverso Signal. Era successo anche il 23 ottobre, poche ore prima dell'omicidio, quando aveva comunicato l'appuntamento al pub John Cabot, al terzo amico, che insieme ad Anastasia e a Giovanni Princi (finito in carcere) avrebbe assistito alla trattativa per la droga finita male. Ieri, intanto, tutti gli indagati sono rimasti in silenzio davanti al giudice.
Hanno scelto di non dissipare le ombre che ancora si addensano intorno a questa vicenda. Oggi, invece, toccherà ad Anastasia presentarsi davanti al giudice Costantino de Robbio. La giovane compagna della vittima potrebbe chiarire i punti oscuri che hanno segnato l'omicidio di Luca. Ma è dagli atti che, invece, emergono altri dettagli che contribuiscono a rendere il quadro più confuso: è sparito il bancomat di Luca. A denunciarne la scomparsa il padre. A quattro giorni dall'omicidio.
MESSAGGI CRIPTATI
Il fatto che Luca utilizzasse Signal una chat che prevede la cancellazione automatica dei messaggi emerge dal verbale di Domenico Marino Munoz presente la sera del 23 ottobre in via Bartoloni. «Alle ore 22,30 di quella sera - dichiara a vernbale ai carabinieri - ho ricevuto sul mio telefonino cellulare, tramite applicazione Signal, un messaggio da parte di Luca, il quale mi comunicava che era in compagnia della sua fidanzata Anastasia e che mi invitava a raggiungerlo per bere una birra al pub».
L'amico assicura, inoltre, che «Luca non gli ha mai raccontato di liti, timori o minacce ricevute da terze persone: mi ha sempre detto che andava tutto bene e che l'unica cosa a cui mirava era di organizzare una gara in moto su pista». Nel verbale Munoz fa mettere nero su bianco che Sacchi pochi giorni prima della tragica morte «non sembrava affatto preoccupato: non mi risulta che Luca facesse uso di sostanze stupefacenti né che frequentasse persone poco raccomandabili».
IL SILENZIO
Marcello De Propris e Giovanni Princi, così come avevano fatto (e continuano a fare) Del Grosso e Pirino si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Del Grosso si è limitato a una breve dichiarazione spontanea ribadendo che «non voleva uccidere nessuno» e che quella sera «era la prima volta che prendeva un'arma in mano». Nessuna reazione e nessuna dichiarazione da parte di Princi, laureato in lingue e amico storico di Sacchi.
Dagli atti risulta che fino a due giorni prima dell'omicidio erano insieme in palestra. È Princi, per il pm Nadia Plastina, che fa da tramite con Del Grosso per l'acquisto di una grossa partita di droga. Il suo difensore lasciando il carcere ha affermato che Princi «è addolorato per la morte del suo amico a cui era molto legato. Per lui è stata una vicenda dolorosissima. So che anche i genitori di Giovanni sono sconvolti per quanto accaduto - aggiunge il penalista -. Il mio assistito è scosso, è alla sua prima esperienza detentiva, potete immaginare come sta».
LA CARD
È il papà di Luca, Alfonso Sacchi a presentare una denuncia ai carabinieri, lo scorso 28 ottobre. Il bancomat di suo figlio, ucciso quattro giorni prima è scomparso. Il 21 ottobre Luca si era fatto male in palestra era insieme a Princi e lui ed Anastasia lo avevano accompagnato.
Racconta il padre a verbale: «Ad oggi, però degli effetti personali presenti in quell'armadietto ho a disposizione soltanto le chiavi del motorino di Luca ed altri documenti che al momento sono sotto sequestro. A seguito della tragedia. La carta bancomat, diversamente non è stata più ritrovata, ho cercato in casa e non la ho trovata e anche su indicazione dell'avvocato che ci sta seguendo con la presente sporgo denuncia di smarrimento. Il bancomat era intestato a mio figlio Luca».
Fonte: qui
L’UOMO DEL MISTERO
“PRINCI MANIPOLAVA TUTTI”, L’AMICO DI LUCA SACCHI ARRESTATO CON L'ACCUSA DI AVER TENTATO DI ACQUISTARE UN INGENTE QUANTITATIVO DI DROGA LA NOTTE IN CUI IL PERSONAL TRAINER E’ STATO AMMAZZATO, VIENE DESCRITTO COME UN RAGAZZO AMMALIANTE: I SUOI STUDI IN PSICOLOGIA GLI PERMETTEVANO, DI CAPIRE SUBITO LE PERSONE
NON E’ ESCLUSO CHE LE ABILITÀ PERSUASIVE DI PRINCI ABBIANO ATTECCHITO SU ANASTASIYA…
Camilla Mozzetti per “il Messaggero - Cronaca di Roma”
Nel linguaggio del carcere c'è quasi sempre una domanda che ogni detenuto sente rivolgersi quando varca l'ingresso di una cella da chi la occupa già da tempo: «Come ci sei finito qui dentro?». Anche a Giovanni Princi, l'amico di Luca Sacchi, arrestato all'alba di una settimana fa dai carabinieri del Nucleo investigativo, è stata fatta da un suo compagno di cella rinchiuso a Rebibbia con l'accusa di spaccio. E Princi che secondo la Procura ha ricoperto il ruolo di ponte tra il gruppo dell'Appio e quello di Casal Monastero durante la trattativa per l'acquisto di 15 chili di marijuana ha risposto. Senza abbassare lo sguardo.
Al suo interlocutore avrebbe replicato: «Non mi hai visto in televisione?». Con gli occhi alti ai fotografi e una parte del viso coperta da una sciarpa mentre all'alba di venerdì scorso entrava al nucleo dell'Arma di via In Selci dopo esser stato arrestato con l'accusa di aver tentato di acquistare un ingente quantitativo di droga la notte in cui Sacchi è stato colpito dal proiettile del revolver calibro 38 impugnato da Valerio Del Grosso.
Nel corso di quella breve conversazione sarebbero state descritte due batterie: quella dei buoni e quella dei cattivi, quest'ultima composta dal pasticcere di Casal Monastero e dai suoi sodali. Poi è sceso il silenzio e ognuno ha continuato a farsi i fatti propri.
Di fronte al gip Costantino De Robbio e alla pm Nadia Plastina, Princi si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il suo avvocato, Massimo Pineschi, uscendo da Regina Coeli ha descritto un ragazzo provato che chiede sempre del suo amico Sacchi. Poi c'è l'altro Giovanni, quello descritto da coloro i quali questo ragazzo di buona famiglia, senza fratelli né sorelle, lo hanno frequentato in tante occasioni. Serate, feste, uscite collettive in giro per Roma e soprattutto tra gli angoli dell'Appio-Tuscolano.
«ABILE A CONVINCERE»
Un profilo forte di un ragazzo che punta a primeggiare all'interno di un gruppo senza usare la violenza o il turpiloquio ma facendo leva sulle «proprie abilità», confida un amico. «Giovanni sa convincere gli altri, li sa ammaliare prosegue il ragazzo sfoggiando i suoi studi in Psicologia che gli permettevano, diceva, di capire subito le persone». E forse, per questo, di saperle anche conquistare o manipolare all'occorrenza.
Che ci abbia tentato con Sacchi riuscendoci poi con la sua fidanzata o con entrambi? Anastasia Kylemnyk di fronte alla pm Plastina mercoledì ha detto di non sapere di avere 70 mila euro nello zaino la notte dell'aggressione e che «Giovanni Princi mi ha dato una busta e mi ha detto di tenerla nello zaino». Chi li conosce entrambi da anni non esclude che proprio le abilità persuasive di Princi abbiano attecchito su una ragazza che potrebbe aver subito il suo fascino.
Princi sa essere convincente: il giorno dopo la sparatoria di fronte al pronto soccorso del San Giovanni ha messo in fila alcuni dettagli della sparatoria. Senza esitare un solo secondo, senza alzare il tono della voce, mostrandosi come un malcapitato spettatore di una tragedia senza senso. «Non li ho visti perché era buio diceva Princi al fianco della madre di Nastja ma sono scesi due tizi da un'auto armati, ma come si fa ad andare in giro così? Solo dei folli possono farlo».
COSA E’ E COME FUNZIONA L'APP, SIGNAL, USATA DA LUCA SACCHI E ANASTASIYA (E PRIMA ANCORA DA SNOWDEN)
UN DETTAGLIO EMERSO IL 4 DICEMBRE DALLE CARTE DELL’INCHIESTA SULL’OMICIDIO DEL 24ENNE HA FATTO SORGERE DUBBI E PAURE SUL SISTEMA DI MESSAGGISTICA CRIPTATO
I MOTIVI PER USARLA (ATTENZIONE: NON È L’UNICA APP CHE FORNISCE LA POSSIBILITÀ DI PROTEGGERE UNA CONVERSAZIONE)
Raffaele Angius per www.agi.it
Luca Sacchi e la fidanzata Anastasiya Kylemnyk comunicavano usando Signal, l’app sicura e cifrata per scambiare messaggi e telefonate. Questo è il dettaglio emerso il 4 dicembre dalle carte dell’inchiesta sull’omicidio del 24enne, la cui morte ha svelato un retroscena di traffici illeciti e minacce nella Capitale. E come spesso succede in questi casi, il mezzo diventa bersaglio di critiche e speculazioni, alimentando l’indignazione dei commentatori e dei salotti televisivi. L’equazione sembra semplice ed efficace: se hai bisogno di inviare messaggi cifrati devi avere qualcosa da nascondere. Ma davvero l’utilizzo di Signal dovrebbe essere automaticamente causa di sospetti verso chi lo utilizza? Per prima cosa, è necessario capire di cosa si tratta.
Lanciata nel 2014, l’app offre un sistema di messaggistica del tutto simile nelle sue funzioni di base a quello di Whatsapp e Telegram, di cui è il meno fortunato concorrente. Se infatti è nota la quantità di utenti che usano i due celebri servizi - rispettivamente 1,6 miliardi e 200 milioni di utenti (fonte: Statista) -, Signal scompare addirittura dai radar delle app di messaggistica più quotate, tra le quali si annoverano anche Facebook Messenger, WeChat e Snapchat.
Tuttavia, il successo di Signal non è da trascurare, soprattutto da quando è diventato celebre grazie all’endorsement pubblico del whistleblower Edward Snowden, noto per aver rivelato la macchina globale di sorveglianza del governo statunitense. Delle sue prese di posizione pubbliche, la più memorabile è probabilmente un tweet pubblicato nel novembre del 2015, nel quale l’informatico e attivista per la privacy ha dichiarato: “Uso Signal tutti i giorni. #AppuntiperlFbi (Spoiler: loro ne sono già al corrente”).
Messaggio che mal cela una sfida all’agenzia investigativa federale statunitense e ai loro tentativi di intercettare le comunicazioni dell’attivista, che vive in Russia dal 2013 in conseguenza alle sue rivelazioni. Se una lista di persone che hanno qualcosa da nascondere dev’essere fatta, senz’altro in questa figurerebbe proprio Snowden, i cui contatti potrebbero esporre le persone con cui comunica e che potrebbero essere oggetto di sorveglianza per il solo fatto di averci parlato.
Ma circoscrivere il bisogno di privacy alle esigenze di attivisti e giornalisti - così come a quelle di spacciatori e criminalità organizzata - potrebbe essere un grave errore. “Sostenere che non ti importi del diritto alla privacy solo perché non hai nulla da nascondere non è diverso da dire che non ti importa della libertà di espressione perché non hai nulla da dire”, argomentava Snowden a riguardo.
Le app a protocollo end-to-end encryption
Contrariamente a quanto hanno pensato molti commentatori, Signal non è l’unica app che fornisce la possibilità di proteggere una conversazione. Il riferimento è ai protocolli di “end-to-end encryption”, ovvero di cifratura del messaggio da un dispositivo mittente a uno ricevente. Questo tipo di protocollo fa sì che il messaggio venga cifrato - reso non intelligibile - al momento dell’invio, utilizzando una chiave che lo rende decifrabile solo dal dispositivo ricevente. Chiunque intercetti il contenuto della comunicazione, senza essere in possesso delle chiavi dei due dispositivi, non può conoscerne il contenuto. Ed è esattamente la stessa procedura che utilizzano Whatsapp e Telegram (quest’ultimo solo nella sua funzione di chat privata e non di default).
Dunque perché attaccare Signal e non le altre due, peraltro molto più utilizzate? La maggiore garanzia fornita da Signal risiede nel modo in cui è prodotta e sviluppata la app.
A differenza di Whatsapp - di proprietà di Facebook - e di Telegram, il codice sorgente di Signal è interamente pubblico e consultabile da chiunque. Questo vuol dire che non solo Signal garantisce un meccanismo di cifratura end-to-end, ma che permette a chiunque di verificare che all’interno del software non siano nascoste delle backdoor, cioè degli errori di codice (voluti o meno) che potrebbero permettere a un attaccante di aggirarne le funzioni di sicurezza. Inoltre, due dispositivi connessi tramite Signal hanno la possibilità di confrontare i rispettivi codici: un meccanismo che permette di fare una seconda verifica sul fatto che il sistema di cifratura stia effettivamente lavorando nel modo corretto.
Perché usare Signal
Sono state numerose le prese di posizione pubbliche e televisive contro l’uso di Signal in relazione all’omicidio di Luca Sacchi. Alcuni hanno fatto riferimento al fatto che l’uso di un meccanismo che impedisce di intercettare le conversazioni dovrebbe essere fuori legge in un Paese civile, dal momento che impedirebbe di condurre indagini serie.
Tuttavia, questo tipo di considerazioni arrivano proprio in seguito alla pubblicazione del contenuto di quelle chat: evidentemente la procura è riuscita a leggerle nonostante fossero assicurate al servizio di messaggistica. In questo caso il bilanciamento tra il diritto alla privacy e il dovere di condurre un’indagine trova il suo naturale equilibrio nella facoltà dell’autorità giudiziaria - e solo in questo caso - di disporre una verifica sul telefono, dal quale è possibile estrarre le informazioni. Pratica che peraltro avviene sia avendo accesso fisico al dispositivo, come nel caso di Luca Sacchi, sia tramite l’utilizzo dei cosiddetti captatori informatici, cioè di software a disposizione delle procure che permettono di estrarre il contenuto di un dispositivo o di porlo sotto intercettazione attivandone microfoni e videocamere.
Strumenti delicati, il cui utilizzo è permesso legalmente solo dalla magistratura inquirente o dai servizi segreti. Contestualmente, alcuni sono convinti che le chat criptate servano solo a chi ha qualcosa da nascondere. Eppure, argomentava Snowden, la privacy non è legata solo al bisogno di celare, quanto al diritto di essere padroni della propria sfera personale. Ambito che negli ultimi quindici anni si è legato sempre di più alla convivenza con il mondo dei dati.
Cifrare una comunicazione permette di mettere al sicuro le proprie credenziali bancarie o di non far sapere all’operatore e al fornitore di un servizio il contenuto delle nostre comunicazioni. Esattamente come abbassare una serranda impedisce a una persona non autorizzata di sapere cosa succede dentro la nostra abitazione. Ma si tratta di limiti aggirabili, purché questo avvenga con le garanzie previste dalla legge: una perquisizione in casa o l’utilizzo di un software d’intercettazione.
Meno garantisti sono i regimi che impediscono l’esercizio della privacy come diritto: è il caso degli Emirati Arabi Uniti, citati nei salotti televisivi quale esempio di buon governo in quanto impediscono l’accesso a Whatsapp o ad altre app che garantiscono la cifratura end-to-end. Eppure la monarchia assoluta non manca mai nei rapporti di Amnesty International sulle violazioni dei Diritti Umani.
E proprio a Dubai, come in Egitto, Oman e Qatar, la fondazione che sviluppa Signal ha dovuto predisporre dei sistemi in grado di aggirare il blocco al download dell’app, dopo che ne è stato vietato l’utilizzo. Alla diffusione della cifratura end-to-end si oppone con maggior successo l’Iran, nel quale neanche la buona volontà della fondazione che sviluppa Signal ha ancora potuto far nulla. Ma come sempre, è questione di tempo. Fonte: qui
Raffaele Angius per www.agi.it
Luca Sacchi e la fidanzata Anastasiya Kylemnyk comunicavano usando Signal, l’app sicura e cifrata per scambiare messaggi e telefonate. Questo è il dettaglio emerso il 4 dicembre dalle carte dell’inchiesta sull’omicidio del 24enne, la cui morte ha svelato un retroscena di traffici illeciti e minacce nella Capitale. E come spesso succede in questi casi, il mezzo diventa bersaglio di critiche e speculazioni, alimentando l’indignazione dei commentatori e dei salotti televisivi. L’equazione sembra semplice ed efficace: se hai bisogno di inviare messaggi cifrati devi avere qualcosa da nascondere. Ma davvero l’utilizzo di Signal dovrebbe essere automaticamente causa di sospetti verso chi lo utilizza? Per prima cosa, è necessario capire di cosa si tratta.
Lanciata nel 2014, l’app offre un sistema di messaggistica del tutto simile nelle sue funzioni di base a quello di Whatsapp e Telegram, di cui è il meno fortunato concorrente. Se infatti è nota la quantità di utenti che usano i due celebri servizi - rispettivamente 1,6 miliardi e 200 milioni di utenti (fonte: Statista) -, Signal scompare addirittura dai radar delle app di messaggistica più quotate, tra le quali si annoverano anche Facebook Messenger, WeChat e Snapchat.
Tuttavia, il successo di Signal non è da trascurare, soprattutto da quando è diventato celebre grazie all’endorsement pubblico del whistleblower Edward Snowden, noto per aver rivelato la macchina globale di sorveglianza del governo statunitense. Delle sue prese di posizione pubbliche, la più memorabile è probabilmente un tweet pubblicato nel novembre del 2015, nel quale l’informatico e attivista per la privacy ha dichiarato: “Uso Signal tutti i giorni. #AppuntiperlFbi (Spoiler: loro ne sono già al corrente”).
Messaggio che mal cela una sfida all’agenzia investigativa federale statunitense e ai loro tentativi di intercettare le comunicazioni dell’attivista, che vive in Russia dal 2013 in conseguenza alle sue rivelazioni. Se una lista di persone che hanno qualcosa da nascondere dev’essere fatta, senz’altro in questa figurerebbe proprio Snowden, i cui contatti potrebbero esporre le persone con cui comunica e che potrebbero essere oggetto di sorveglianza per il solo fatto di averci parlato.
Ma circoscrivere il bisogno di privacy alle esigenze di attivisti e giornalisti - così come a quelle di spacciatori e criminalità organizzata - potrebbe essere un grave errore. “Sostenere che non ti importi del diritto alla privacy solo perché non hai nulla da nascondere non è diverso da dire che non ti importa della libertà di espressione perché non hai nulla da dire”, argomentava Snowden a riguardo.
Le app a protocollo end-to-end encryption
Contrariamente a quanto hanno pensato molti commentatori, Signal non è l’unica app che fornisce la possibilità di proteggere una conversazione. Il riferimento è ai protocolli di “end-to-end encryption”, ovvero di cifratura del messaggio da un dispositivo mittente a uno ricevente. Questo tipo di protocollo fa sì che il messaggio venga cifrato - reso non intelligibile - al momento dell’invio, utilizzando una chiave che lo rende decifrabile solo dal dispositivo ricevente. Chiunque intercetti il contenuto della comunicazione, senza essere in possesso delle chiavi dei due dispositivi, non può conoscerne il contenuto. Ed è esattamente la stessa procedura che utilizzano Whatsapp e Telegram (quest’ultimo solo nella sua funzione di chat privata e non di default).
Dunque perché attaccare Signal e non le altre due, peraltro molto più utilizzate? La maggiore garanzia fornita da Signal risiede nel modo in cui è prodotta e sviluppata la app.
A differenza di Whatsapp - di proprietà di Facebook - e di Telegram, il codice sorgente di Signal è interamente pubblico e consultabile da chiunque. Questo vuol dire che non solo Signal garantisce un meccanismo di cifratura end-to-end, ma che permette a chiunque di verificare che all’interno del software non siano nascoste delle backdoor, cioè degli errori di codice (voluti o meno) che potrebbero permettere a un attaccante di aggirarne le funzioni di sicurezza. Inoltre, due dispositivi connessi tramite Signal hanno la possibilità di confrontare i rispettivi codici: un meccanismo che permette di fare una seconda verifica sul fatto che il sistema di cifratura stia effettivamente lavorando nel modo corretto.
Perché usare Signal
Sono state numerose le prese di posizione pubbliche e televisive contro l’uso di Signal in relazione all’omicidio di Luca Sacchi. Alcuni hanno fatto riferimento al fatto che l’uso di un meccanismo che impedisce di intercettare le conversazioni dovrebbe essere fuori legge in un Paese civile, dal momento che impedirebbe di condurre indagini serie.
Tuttavia, questo tipo di considerazioni arrivano proprio in seguito alla pubblicazione del contenuto di quelle chat: evidentemente la procura è riuscita a leggerle nonostante fossero assicurate al servizio di messaggistica. In questo caso il bilanciamento tra il diritto alla privacy e il dovere di condurre un’indagine trova il suo naturale equilibrio nella facoltà dell’autorità giudiziaria - e solo in questo caso - di disporre una verifica sul telefono, dal quale è possibile estrarre le informazioni. Pratica che peraltro avviene sia avendo accesso fisico al dispositivo, come nel caso di Luca Sacchi, sia tramite l’utilizzo dei cosiddetti captatori informatici, cioè di software a disposizione delle procure che permettono di estrarre il contenuto di un dispositivo o di porlo sotto intercettazione attivandone microfoni e videocamere.
Strumenti delicati, il cui utilizzo è permesso legalmente solo dalla magistratura inquirente o dai servizi segreti. Contestualmente, alcuni sono convinti che le chat criptate servano solo a chi ha qualcosa da nascondere. Eppure, argomentava Snowden, la privacy non è legata solo al bisogno di celare, quanto al diritto di essere padroni della propria sfera personale. Ambito che negli ultimi quindici anni si è legato sempre di più alla convivenza con il mondo dei dati.
Cifrare una comunicazione permette di mettere al sicuro le proprie credenziali bancarie o di non far sapere all’operatore e al fornitore di un servizio il contenuto delle nostre comunicazioni. Esattamente come abbassare una serranda impedisce a una persona non autorizzata di sapere cosa succede dentro la nostra abitazione. Ma si tratta di limiti aggirabili, purché questo avvenga con le garanzie previste dalla legge: una perquisizione in casa o l’utilizzo di un software d’intercettazione.
Meno garantisti sono i regimi che impediscono l’esercizio della privacy come diritto: è il caso degli Emirati Arabi Uniti, citati nei salotti televisivi quale esempio di buon governo in quanto impediscono l’accesso a Whatsapp o ad altre app che garantiscono la cifratura end-to-end. Eppure la monarchia assoluta non manca mai nei rapporti di Amnesty International sulle violazioni dei Diritti Umani.
E proprio a Dubai, come in Egitto, Oman e Qatar, la fondazione che sviluppa Signal ha dovuto predisporre dei sistemi in grado di aggirare il blocco al download dell’app, dopo che ne è stato vietato l’utilizzo. Alla diffusione della cifratura end-to-end si oppone con maggior successo l’Iran, nel quale neanche la buona volontà della fondazione che sviluppa Signal ha ancora potuto far nulla. Ma come sempre, è questione di tempo. Fonte: qui
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