È entrato in carcere a 20 anni, sapendo di essere innocente, con un’accusa ignominiosa: stupro e omicidio di una amica. Ne è uscito a 42. E a farlo liberare non è stato l’avvocato o una battaglia dei familiari, ma la madre della vittima. Che non si è accontentata di un orco immaginario dato in pasto a giornali e opinione pubblica, per placare la loro sete di giustizia. La sua sete di verità è stata più forte e, da sola e contro tutti, ha scoperto il vero assassino della figlia.
Un’indagine privata
E’ il 13 giugno 1996 e Angie Dodge viene trovata morta accoltellata in casa a Falls, un piccolo paesino dello stato americano dell’Idaho: sul corpo i segni inequivocabili della violenza sessuale. Le indagini si risolvono in un buco nell’acqua fin quando nel ’97 viene arrestato uno stupratore armato di coltello, per un delitto simile, che si rivela essere nel giro di conoscenze di Angie. Gli agenti pensano possa essere responsabile anche di quello consumato un anno prima, rimasto insoluto, e convocano quindi Christopher Tapp in qualità di amico della vittima per capire se, anche secondo lui, può essere la pista giusta. Tapp, sorpreso e confuso, riferisce di non saperne nulla, di non conoscere l’arrestato. Qui comincia l’incubo: dopo un lungo terzo grado il giovane passa, in maniera kafkiana, da possibile teste a unico sospetto proprio della morte della sua amica. Viene subito arrestato e, nonostante la prova del Dna lo scagioni, condannato all’ergastolo (l’accusa chiede la pena capitale). Il caso, che ha turbato cittadini e media, è ufficialmente e finalmente chiuso per tutti. Tranne che per la madre di Angie, Carol, che alla colpevolezza di quel ragazzo non crede un istante. Istinto di madre? Può darsi, fatto sta che continua da sola le indagini frettolosamente chiuse dagli investigatori, ingaggiando una serie di detective privati e riascoltando per ore, giorni, settimane, i nastri della presunta confessione di Tapp, da cui in realtà non emerge niente: le appare estorta, condizionata dalla pressione psicologica degli inquirenti.
Solo nel 2014 la donna riesce a far valere quella prova del Dna incredibilmente trascurata dal tribunale in virtù della confessione, ma non basterà ancora: Tapp, in un’altra sentenza iperbolica, è prosciolto dall’accusa di essere il violentatore ma non l’omicida. La madre di Angie, che ha immolato ormai la sua vita a questa causa, va avanti come nemmeno Jessica Fletcher: entrata in possesso di una traccia di Dna archiviata nel dossier sull’omicidio, assolda un esperto di genealogia riuscito - con un’innovativa tecnica forense, usata per la prima volta negli Usa per scagionare un condannato - a ricostruire la catena genetica e trovare 7 persone legate al Dna del killer. Tra gli identikit c’è Brian Leigh Dripps: un uomo che, all’epoca dei fatti, abitava proprio davanti alla casa di Angie. La polizia, incalzata dalla “signora in giallo”, lo interroga e lui, colpo di scena, confessa immediatamente sia lo stupro che l’omicidio, confermando di non aver mai visto e conosciuto Tapp. «Si erano sbagliati tutti, ma alla fine la verità è arrivata - le sue prime parole da uomo libero -, ora voglio urlare la mia innocenza perché tutti lo sappiate». Carol Dodge ha vinto la battaglia: «I poliziotti l’hanno minacciato con la pena di morte - rivela -, dicendogli che se avesse detto quello che loro volevano sentire gli avrebbero dato l’immunità». Ma non per questo troverà pace: «Questa storia ha distrutto la nostra famiglia come pezzi di vetro, in nessun modo i pezzi torneranno a posto». Anche Tapp, dal canto suo, ha evitato di passare il resto dell’esistenza dietro le sbarre e vincerà molto probabilmente la causa di risarcimento danni. Ma gli anni trascorsi ingiustamente in cella, forse i migliori, non glieli ridarà più nessuno.Una vittoria amara.
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