Per ora la città più intelligente è Singapore. Le auto sono già in rete con i sistemi di pagamento, le società autostradali e la municipalità che gestisce i parcheggi. A bordo lettori ottici e microchip leggono gli accessi. L’amministrazione sa tutto e invia le multe in caso di infrazioni. Fra cinque anni, nelle nostre città, la tecnologia 5G moltiplicherà per 10 il modello Singapore. Un mondo efficientissimo, con un drammatico problema parallelo: la cybersicurezza.
Cosa cambia con la tecnologia 5G
Parliamo di una rete in grado di trasmettere in tempo reale immense quantità di dati, e che si sta sviluppando in tutte le aree economicamente avanzate del mondo grazie agli enormi investimenti delle compagnie telefoniche. Nella pratica funzionerà così: milioni di chilometri di fibra e migliaia di piccole antenne installate ovunque connetteranno tutti gli oggetti dotati di sensori, fino a un milione per chilometro quadrato. La rete trasmetterà i dati dei sensori ad un gigantesco datacenter, fisicamente collocato nelle immediate vicinanze della città che gestisce. Gli algoritmi di intelligenza artificiale elaborano i dati e ordinano «cosa fare» ai dispositivi installati su tutta la rete, e a i settori di competenza. Tutto questo in tempo reale.
L’algoritmo non spreca risorse
Esempi: i sensori dei semafori rileveranno i flussi di traffico sull’intera rete stradale, e la polizia municipale, con il tempo di un «clic», potrà decidere come indirizzarli o la durata del segnale «verde». Il trasporto pubblico: i convogli della metropolitana, le corse degli autobus e tram verranno potenziati, o modificati i percorsi, a seconda di quanti passeggeri si stanno muovendo e verso quale direzione. La nettezza urbana? Il comune potrà sapere la quantità di rifiuti che si stanno accumulando, per edificio e per quartiere, e quindi aumentare o diminuire la raccolta. Lo stesso varrà per l’illuminazione urbana: più elevata o più bassa, a seconda della necessità; idem per l’erogazione del gas e del riscaldamento. Gli ospedali? I dati dei pazienti saranno totalmente digitalizzati, i reparti interconnessi. I medici saranno in grado di ricevere dalle ambulanze le prime analisi e immagini ad alta risoluzione in caso di urgenze. Sofisticati sistemi di video sorveglianza tramite l’utilizzo di droni consentiranno alla polizia di monitorare situazioni complesse e intervenire in modo mirato e in tempo reale. Le aziende dotate di sensori e di robot su cui girano algoritmi di intelligenza artificiale razionalizzeranno i processi produttivi e i costi. E via così, fino alle serrature di casa e gli apparecchi che ci stanno dentro: dal riscaldamento, alla tv, al frigorifero. Un sistema che rende il servizio più efficiente, non spreca risorse, e genera risparmi.
Una competizione globale
Il 5G è uno standard mobile, ma per portarci davvero nel futuro s’interconnetterà anche con la rete fissa grazie ai cavi a fibra ottica. Per implementare la banda larga ultra veloce fino all’ultimo miglio, cioè nelle case, servono miliardi di chilometri di fibra. Sette dollari a chilometro, è il prezzo medio in Europa e Stati Uniti. Quest’anno ne sono stati installati oltre 560 milioni: più 34% rispetto alle aspettative degli analisti. Un boom trainato della Cina, che vende fibra e tutto l’apparato mobile a prezzi molto più bassi rispetto ai concorrenti, grazie ad economie di scala che gli altri non hanno. Nel 2018 hanno intermediato più della metà della domanda globale di fibra ottica. Fili sottili come un capello, su cui viaggiano i dati Internet. Cinque dei primi sette operatori al mondo hanno insegne in mandarino e ricavi da capogiro: Hengtong, Futong, Fiber Home, Ztt, Yofc. Qualcuno parla di dumping per il loro arrivo su larga scala in Europa, dove è leader l’italiana Prysmian, che in pochi anni ha comprato tecnologia e brevetti da Nokia, Philips, Alcatel e Pirelli, e oggi si difende dalla competizione come può.
È possibile sabotare una città?
Al netto della guerra industriale, resta il grande problema dell’accesso fraudolento ai dati. Al mega server centrale delle amministrazioni pubbliche, come ai più piccoli, vicini agli apparati di connessione, si potrebbe arrivare attraverso «porte» nascoste dentro le antenne, router, sensori, e bloccare la mobilità, interrompere l’erogazione di energia elettrica o copiare tutte le cartelle cliniche. In che modo? Infettando l’infrastrtuttura con un virus, o entrandoci direttamente attraverso un punto di vulnerabilità, prendendone così il comando. In teoria quindi, oltre alle compagnie telefoniche che gestiscono la rete, potrebbero accedere tutti i produttori di questi apparati: Zte, Ericsson, Nokia networks, Cisco. Il fornitore più competitivo è la cinese Huawei, che potrebbe entrare per fare manutenzione da remoto, e avere porte di accesso non visibili neanche a Tim e Vodafone(qui l’inchiesta di Dataroom). Il gruppo si è graniticamente difeso sostenendo di non avere mai concepito «backdoor» neanche se a chiederglielo fosse il governo cinese. Vale la pena di rilevare che nel comitato strategico di indirizzo Huawei ha tre componenti del partito comunista, ed è complicato sostenere che non possano influenzare le politiche dell’azienda.
Dalle mafie alle intelligence estere
In Italia, nel 2018, le denunce di attacchi informatici alla Polizia postale sono aumentate del 318% rispetto all’anno precedente. Parliamo di cybercrime ormai dominato dalle mafie e grandi organizzazioni criminali, che attraverso gli attacchi movimentano enormi giri d’affari, in parte poi reinvestiti nella ricerca di virus sempre più sofisticati, in tecniche di ricostruzione delle fisionomie e delle personalità sulla base dei dati. Su un altro piano, quello dello spionaggio geopolitico, industriale e furto di proprietà industriale, si muovono gli Stati sovrani e i regimi dittatoriali, con investimenti massicci e il supporto dei sistemi di intelligence. E sono proprio le intelligence estere ostili da temere, in una guerra che non è solo commerciale.
Chi deve proteggere i dati
Con il 5G, il Wi-Fi pubblico sarà connesso con milioni di oggetti intelligenti. Come fare per blindare tutti questi dati? Secondo gli esperti delle forze di polizia e servizi di intelligence, per non esporci a minacce (americane, cinesi o mafiose che siano), la strada obbligata è una sola: 1) acquisire la proprietà della rete che trasporta i nostri dati strategici; 2) utilizzare una tecnologia certificata da uno staff competente; 3) evitare di comprare prodotti da Paesi che fanno politiche ostili. Un router «infedele» viene venduto per fare un’attività, ma ne fa anche un’altra: sdoppia il segnale e lo manda dove decide lui. Certo, tutto questo ha un costo, ma enormemente inferiore all’esposizione dei rischi, e poi la società proprietaria della rete la quoti in borsa. Gli inglesi hanno una base di intelligence che si occupa solo di tecnologia strategica, e assumono ogni anno 200 informatici con phd in matematica che «setacciano» i fornitori di tutti i componenti. Oggi in Italia non sono previsti fondi per il reclutamento delle competenze necessarie a proteggere le nostre amministrazioni pubbliche da possibili attacchi. Nel nostro Paese, un laboratorio sulla cyber-security lo sta avviando l’altra grande produttrice cinese di apparati, Zte. Garantisce di mettere a disposizione la revisione del codice sorgente sui suoi prodotti. E a noi va bene così.
Fonte: IlCorriere
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