POCHISSIMA LUCE, ARIA RAZIONATA, VIDEOSORVEGLIANZA E SPAZI STRETTISSIMI
PER SFUGGIRE ALLE MANETTE L’UNICA POSSIBILITÀ ERA RESTARE NEL FEUDO DI CASAPESENNA, MA SOTTOTERRA
ECCO COME VIVEVA L’UOMO PIÙ POTENTE (E RICCO) DEL CLAN DEI CASALESI
DENTRO IL BUNKER DI MICHELE ZAGARIA A CASAPESENNA
Giampiero de Luca per www.lastampa.it
(montaggio di Ugo Leo)
In questo bunker ci ha vissuto a lungo Michele Zagaria, il camorrista che tutti conoscevano come Capa Storta. Ha passato in latitanza poco più di 16 anni e questo è stato uno dei suoi nascondigli. Ci potevano entrare solo i parenti stretti, i fedelissimi, e lo hanno visto solo i poliziotti che hanno catturato il fantasma. Ci entriamo per la prima volta.
Queste sono immagini in esclusiva per La Stampa. Siamo in via Cristoforo Colombo, a Casapesenna, paese della provincia casertana. Il fortino dell’ex primula rossa del clan dei Casalesi era stato ricavato sottoterra, tra le fondamenta di grandi ville: muri alti e insuperabili cancellate che impedivano a chiunque di vedere tutto ciò che accadeva all’interno. Al boss che viveva qua sotto di certo non mancavano i comfort, ma gli spazi strettissimi rendevano il bunker un specie di trappola per topi. Pochissima luce e aria razionata.
Vita dura per sfuggire alle manette, ma questa era l’unica possibilità, di restare in quel territorio considerato feudo e mantenere l’egemonia sul clan e sugli affari. Questa era una delle ville impenetrabili: difficile anche per la polizia verificare la presenza di uno dei nascondigli del latitante. Per scoprire questo bunker è stata necessaria un’intricata e minuziosa indagine, quasi un’operazione di spionaggio. Zagaria era proprio qui. Era considerato il “re del cemento” per la capacità di infiltrazione negli apparati pubblici e non, i suoi interessi sono partiti dalla Campania per arrivare in Lazio, Toscana, Umbria, Abruzzo, Lombardia ed Emilia Romagna.
Dai suoi covi, il boss dei Casalesi gestiva e pianificava i suoi affari illeciti, manteneva i contatti con i sodali e gli affiliati al clan. Viveva sotto terra, in questo bunker, ma poteva vedere cosa accadeva all’esterno. Non solo nel vialetto davanti all’abitazione, ma in tutto il paese. Grazie a un sofisticato sistema di videosorveglianza clandestino, realizzando cablando la rete “legale” che gli consentiva di vedere cosa accadeva ovunque ci fosse telecamera. Da questo fortino sotto terra, realizzato da costruttori compiacenti e fedeli, Zagaria usciva raramente.
Ma in quelle poche occasioni, erano sempre i suoi fedelissimi a occuparsi di andare a prendere il ’capo’ e di accompagnarlo ovunque volesse. Ben nascosto all’interno di vani invisibili realizzati nel portabagagli di auto, spesso di grossa cilindrata. Nel dicembre del 2011 la fuga di Michele Zagaria è finita e da quel giorno Capastorta è finito al carcere duro, al 41bis, per scontare tre condanne all’ergastolo.
Fonte: qui
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