La love story tra Trump e Putin, che aveva portato il magnate USA ad accettare Assad pur di combattere l’ISIS insieme ai russi, è finita.
Ieri è stata la classica giornata in cui i mercati, provati da una continua attesa di notizie positive, in grado di dare solidità alla molta strada rialzista già fatta, hanno avuto una crisi di nervi per le tante svolte, tutte negative, che ieri si sono palesate agli occhi degli investitori.
E pensare che per gran parte della seduta la volontà degli indici USA di confermare il trend rialzista con nuovi massimi (Nasqaq100) o di porre fine alla correzione di breve periodo in atto, per tornare a guardare in alto (SP500 e Dow Jones) sembravano imporsi e condurli verso una seduta scacciapensieri.
Invece intorno alle 20, in coincidenza con la pubblicazione dei verbali dell’ultimo FOMC della Federal Reserve, i nervi sono saltati e gli indici hanno subito il predominio delle vendite, che hanno costretto la seduta a chiudersi in negativo. Una svolta effettuata a mercati europei chiusi, i quali, peraltro, quasi a subodorare quel che sarebbe successo, nell’ultima ora hanno effettuato anch’essi una scivolata che li ha portati tutti a chiudere in negativo. Anche il nostro Ftse-Mib, che per tutta la seduta aveva mostrato una invidiabile forza, restando isolatamente in positivo grazie alla verve dei bancari.
Che cosa abbia trasformato il sogno rialzista in incubo e confermato l’incapacità di svoltare al rialzo da parte delle borse azionarie, possiamo immaginarlo se consideriamo la fitta serie di svolte politiche che hanno scosso le certezze dei mercati, già fiaccate dagli insuccessi di Trump sull’Obamacare delle scorse settimane. Il caso Siria, dove il bombardamento a base di Sarin sulla popolazione civile ha spiattellato davanti al mondo orrende fotografie di bambini uccisi tra gli spasmi, che hanno presto fatto il giro del web e provocato il voltastomaco all’opinione pubblica, sta complicando sempre più gli scenari geopolitici medio-orientali.
La love story tra Trump e Putin, che aveva portato il magnate USA ad accettare Assad pur di combattere l’ISIS insieme ai russi, è finita quando i militari hanno mostrato le foto dei bambini gasati ed attribuito ad Assad la responsabilità del crimine. D’istinto e sull’onda dell’emotività, come spesso gli capita di agire, Trump ha annunciato la svolta politica e manifestato l’intenzione di punire Assad, presentando una mozione di condanna all’ONU, che lo ha fatto entrare in rotta di collisione con la Russia, che ha fatto valere il suo diritto di veto, proteggendo il dittatore siriano.
La versione dei fatti presentata dai russi, che effettivamente avrebbe una sua logica, attribuisce la colpa della dispersione di gas nervino al fatto che i bombardamenti siriani avrebbero colpito un deposito segreto di gas dei ribelli anti-Assad. In effetti la logica riterrebbe assai più plausibile questa versione dei fatti di quella che le diplomazie occidentali, sulla base delle testimonianze dei ribelli siriani, accreditano come vera, cioè che Assad avrebbe deliberatamente bombardato col gas gli inermi civili. Assad non aveva nulla da guadagnare da un’azione simile, mentre avrebbe avuto molto da perdere, come in effetti è stato. Se Assad ha fatto veramente quel che sostengono le diplomazie e la stampa occidentale, è completamente impazzito e rischia di dilapidare il capitale di credibilità che la Russia era riuscita a costruirgli, garantendogli colloqui di pace che lo avrebbero visto ancora in sella al governo siriano, con la benevola accondiscendenza americana. Ora lo scenario si complica terribilmente per lui e per le speranze di soluzione del conflitto. Gli americani, se Trump farà seguire i fatti alle parole (non è detto, come ben sappiamo: il personaggio cambia strategia politica a seconda di come dorme la notte) l’intervento armato americano potrebbe intensificarsi ed un altro elefante che fino a ieri osservava dalla vetrina, potrebbe entrare nella cristalleria siriana.
Politicamente è una vittoria dei militari USA, che non hanno mai digerito la benevolenza di Trump verso i russi e la leggerezza con cui Trump aveva perdonato Assad, che invece Obama aveva osteggiato a lungo, ma senza riuscire a rovesciarlo. Se poi aggiungiamo il fatto che, sempre ieri, Trump ha rimosso dal Consiglio di Sicurezza Nazionale, dove spesso si scontrava con i diversi membri militari, il suo super-ideologo e consigliere neo-fascista Steve Bannon, abbiamo una seconda prova del potere che in politica estera hanno assunto i militari, a cui Trump evidentemente non è in grado di controbattere, data la sua proverbiale ignoranza politica di quel che esiste al di fuori dei confini americani.
L’insieme di questi eventi forniscono un’impressione di grave inadeguatezza del Presidente USA ad affrontare le complesse situazioni geopolitiche e minano la sua credibilità, già compromessa da parecchi passi falsi e rimozioni di membri governativi poche settimane dopo la nomina.
Ma forse è un’altra la svolta che ha impaurito i mercati.
La pubblicazione dei verbali dell’ultimo FOMC della Federal Reserve hanno rivelato che una importante svolta nella politica monetaria della FED potrebbe essere imminente. Alcuni membri hanno introdotto il tema della riduzione progressiva degli asset presenti nel bilancio della Banca Centrale USA.
Si tratta di titoli di stato ed obbligazionari presenti per un ammontare che, dallo scoppio della grande crisi del 2008 fino al termine del 2014, è passato da 800 a 4.500 miliardi di dollari, grazie alle molteplici manovre di espansione monetaria che la FED ha attuato attraverso i vari piani TARP e QE. Un ammontare veramente ingente, che ha alzato a livelli mai raggiunti prima la liquidità immessa nell’economia USA. Da due anni il livello è fermo su questo record. Il QE è stato arrestato, ma la Fed ha sempre reinvestito le cedole e rinnovato i titoli in scadenza, proprio per mantenere immutato il livello di liquidità nel sistema.
Ora sembra imminente la svolta verso la normalizzazione anche per gli asset obbligazionari, dopo quella iniziata da tempo, ma con gradualità, sui tassi di interesse.
Ma la normalizzazione degli asset significa drenaggio monetario progressivo. Esattamente il contrario di quel che è stato fatto dal 2008 al 2014. Le prospettive diventano restrittive, con effetto ovviamente di spinta al rialzo per i rendimenti.
Non è esattamente quel che piace ai mercati, anche perché, se l’espansione monetaria non sempre serve a stimolare l’economia, la restrizione è generalmente molto efficace a frenarla.
Evidentemente i mercati si sono rivelati non ancora pronti a questa normalizzazione ed hanno reagito con un secco calo, che oggi potrebbe riverberarsi anche sulle borse europee. Intanto conferma che il trend correttivo è tutt’altro che invertito e getta un’ombra scura sulle prospettive immediate dell’azionario.
Fonte: qui
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