domenica 2 aprile 2017

BREXIT - DAGLI ACCORDI COMMERCIALI ALLA SICUREZZA DEGLI EUROPEI IN GRAN BRETAGNA, ECCO IL PIANO CHE L’UE INTENDE NEGOZIARE CON LONDRA

MA THERESA MAY PUNTA A SPACCARE IL FRONTE PER POI ANDARE A NEGOZIARE TRATTATI BILATERALI CON I SINGOLI PAESEI 

ECCO POTREBBE ACCADERE

Alberto D’Argenio per “la Repubblica”

theresa may firma la richiesta secondo l articolo 50THERESA MAY FIRMA LA RICHIESTA SECONDO L ARTICOLO 50
Arrivano le linee guida degli europei per le trattative sul divorzio da Londra. Sette pagine piuttosto dure preparate dal presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk dopo che tre giorni fa Theresa May ha notificato a Bruxelles l' avvio delle procedure per la Brexit. Nelle prossime settimane saranno discusse da ambasciatori e ministri Ue e poi, il 29 aprile, verranno adottate dai Capi di Stato e di governo dei Ventisette.

Quindi entro il 22 maggio sarà pronto il mandato formale per il negoziatore europeo, il francese Michel Barnier, e i negoziati potranno partire. Dureranno almeno 2 anni, la scadenza è fissata per il 29 marzo 2019. Ad ogni modo per Tusk «saranno difficili, complessi e a volte conflittuali, non c' è modo di evitarlo».
DONALD TUSKDONALD TUSK

UNITÀ EUROPEA
«Nei negoziati l' Unione agirà come un unico blocco». Questo il primo postulato che i Ventisette si impongono. Restare uniti. Le istituzioni Ue temono che gli inglesi spacchino il fronte europeo negoziando accordi bilaterali con alcune capitali regalando un enorme vantaggio tattico a Theresa May. Punti deboli i paesi più vicini a Londra - Olanda, Svezia, Danimarca - oppure i polacchi, che hanno un milione di lavoratori residenti nel Regno. Occhi puntati anche su Cipro, che deve regolare con Londra l'uso delle basi sull' isola mediterranea.
theresa may firma la richiesta secondo l articolo 50THERESA MAY FIRMA LA RICHIESTA SECONDO L ARTICOLO 50

FALLIMENTO
«L' Unione lavorerà duro per arrivare a un accordo, ma si prepara a gestire un fallimento delle trattative». 

Si teme che Londra faccia saltare il tavolo ed esca dalla Ue senza intesa per poi stringere una serie di trattati bilaterali con i singoli paesi europei che rischierebbero di far saltare il mercato unico. 

Bruxelles risponde che sarebbe pronta a questo scenario e (dietro le quinte) minaccia: i rapporti tra Gran Bretagna ed Europa sarebbero regolati dal Wto, con tanto di dazi per le merci e l' impossibilità per la City di operare in Europa. Un danno enorme per l' economia inglese.
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TRATTATIVE IN DUE FASI
Downing Street vorrebbe negoziare contemporaneamente i termini del divorzio e i futuri rapporti tra ex coniugi in modo da legare i vari dossier e prendersi un vantaggio. Le linee guida Ue bocciano nettamente questo approccio. Prima si negozia l'addio, con due punti ritenuti vitali.

I diritti dei 3 milioni cittadini europei in Gran Bretagna - che comunque non potranno essere compressi fino a Brexit compiuta - e il conto che Londra dovrà saldare prima di andare per la sua strada: circa 60 miliardi, ovvero il pagamento degli obblighi finanziari previsti (e ai quali Londra si è accodata negli scorsi anni) dai programmi Ue fino al 2020 e oltre.
BREXITBREXIT

Nei prossimi giorni l'Italia, con 170 mila connazionali registrati nel Regno, proverà a rinforzare il passaggio sui diritti dei cittadini: al momento il testo prevede che venga data «chiarezza e certezza legale» ai loro diritti. Roma cercherà anche di inserire un passaggio che chieda alla May di impegnarsi a non bloccare i lavori dell' Unione, a non prendere in ostaggio i normali dossier Ue come ricatto negoziale sulla Brexit.

I FUTURI RAPPORTI
Dopo che i termini del divorzio saranno chiariti, si potrà negoziare i rapporti futuri. Alcuni paesi (Olanda, Danimarca e Polonia) hanno chiesto di fissare a dicembre il termine per la prima fase delle trattative, un rischio perché in caso di tempi lunghi permetterebbe a Londra di accavallare le due fasi. La soluzione è questa: «Il Consiglio europeo (ovvero i leader, ndr), deciderà quando sono stati fatti progressi sufficienti per permettere ai negoziati di entrare nella seconda fase».

ACCORDO COMMERCIALE
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Si lavorerà per arrivare a un accordo che permetta un «ritiro ordinato» di Londra capace di dare certezze future a cittadini e business. La May ha chiesto un «accordo commerciale» con l' Unione, gli europei aprono. Ma potrà essere negoziato solo dopo la conclusione della prima fase e chiuso anche dopo la Brexit. Nella migliore delle ipotesi l' intesa potrebbe essere molto ampia, politica, e comprendere oltre al commercio anche finanza (la City), lotta al terrorismo, sicurezza e difesa.

Ad ogni modo gli europei ricordano che il mercato unico è indivisibile (non possono essere accordati permessi ad operarvi solo per alcuni settori) e che comprende le quattro libertà fondamentali Ue (tra le quali quella di stabilimento, leggi lavoratori comunitari). Gli europei ribadiscono che «non potranno esserci negoziati separati tra gli stati membri e il Regno Unito».

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Sembra improbabile un accordo che dia a Londra uno status speciale che permetta alla finanza di continuare a operare come oggi in Europa. Se fino alla Brexit Londra resta a pieno titolo nella Ue e deve sottomettersi alle sue regole, sono previsti accordi transitori che regolino i rapporti tra divorzio ed entrata in vigore dei nuovi eventuali accordi.

GIBILTERRA, IRLANDA E CIPRO
Gli europei chiedono che il processo di pace in Irlanda sia preservato a ogni costo e per questo che non sorga un nuovo confine sigillato tra le due parti dell' isola, anche se si dovrà trovar il modo perché le merci non passino liberamente tra Belfast e Dublino, aprendo una falla nelle dogane europee: «Servono soluzioni flessibili e ricche di immaginazione ».

L' Unione lascia liberi Cipro e Regno Unito di negoziare il futuro delle basi inglesi sull' isola, ma chiede che ogni soluzione sia in linea con le norme Ue. C' è poi il caso Gibilterra: per evitare tensioni Bruxelles ha scelto che sarà l' Unione a negoziare un accordo sul suo futuro, ma questo dovrà essere accettato da Madrid e Londra. Per questo a Bruxelles appaiono ingiustificate le critiche dei media britannici secondo i quali gli europei vorrebbero scippare la rocca a Sua Maestà dando a Madrid il diritto di veto su ogni decisione.

Fonte: qui

Tagliata fuori da Usa e Londra, Europa ridotta a un mercatino

America first non è uno slogan. È una visione del mondo. Può piacere o non piacere, ma una cosa è certa: la subiamo
C'era una volta un mercato unico, senza barriere, senza muri, senza dazi, con l'idea che il commercio avvicina le genti e le fa più ricche, se tu vendi e io compro, e viceversa, è più facile riconoscersi e rivelarsi.
Non più guerre. Non più sangue. Sfide, magari, sul mercato, con la scommessa che alla fine tutti, i più intraprendenti e i più lenti, saremmo stati meglio. Questo era il sogno e si chiamava Europa.
Qualcosa, a quanto pare, è andato storto. Forse perché a un certo punto ci siamo più preoccupati di fare regolamenti che liberi scambi. Invece di piallare gli ostacoli, l'Europa si è incarnata nel demone del demiurgo, con l'ossessione di incasellare ogni cosa, di dare un nome, una cifra, un protocollo a qualsiasi cosa. 
È la dannazione delle utopie. Controllo quindi sono. 
Il controllo è potere e la burocrazia è il suo profeta. 
Fatto sta che, per questo e altri motivi, l'Europa si è gonfiata, si è allargata, ma allo stesso tempo ha perso peso specifico. Non solo non è tornata centrale come ai tempi della Belle époque, prima del doppio suicidio delle due guerre mondiali, ma si è ritrovata sempre più periferica come una giacca stinta tra Est e Ovest, tra Russia, Cina e America.
Adesso, mentre gli anni '10 del secondo millennio già scivolano in discesa, ci si ritrova con la Gran Bretagna fuori e gli Stati Uniti di mister Donald Trump stanchi di pagare tutti i costi dell'impero. America first non è uno slogan. È una visione del mondo. Può piacere o non piacere, ma una cosa è certa: la subiamo.
Allora ci tocca fare i conti con una realtà spiacevole. Il mercato europeo muta il proprio orizzonte. È un mercatino. È, se lo guardi con una prospettiva globale, come una di quelle fiere che si fregiano di un nome glorioso ma che con il passare degli anni si sono immiserite, svuotate, fino ad apparire per quello che sono, cioè un mercatino rionale, dove ci si passa per nostalgia. Se il mercato è un mercatino, i primi a sparire sono i lavoratori. Le esportazioni italiane verso i Paesi extra Ue sostengono oltre 2 milioni e 700mila posti di lavoro in Italia. Altri 402mila italiani lavorano nell'indotto. Il mercatino vale una guerra persa.
Questa è un'immagine pessimista, il rischio però è reale. 
Ora l'Europa può accartocciarsi su se stessa e rispondere alla Brexit e a Trump con la stessa moneta. Può continuare a sentirsi viva contando la misura dei fagioli. 
Oppure può rilanciare la scommessa iniziale, esplorare nuovi mercati e affrontare le trattative con il Regno Unito nel modo più amichevole e ridurre le proprie barriere in settori ancora troppo protetti come, ad esempio, quello agricolo. È chiaro che l'istinto, le lobby e le volontà di potenza di alcuni governi spingeranno dalla parte opposta. Ma poi resta la domanda centrale. 
L'Europa cos'è? 
È un Super Stato con mercatino rionale o un mercato dai grandi orizzonti, una visione del mondo e una democrazia? 
È da questa risposta che passa il futuro.
Fonte: qui

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