lunedì 5 dicembre 2016

L’ITALIA DA’ LO SFRATTO A RENZI IL PALLONARO

MARIO GIORDANO:

“FINISCE IN UNA NOTTE DI DICEMBRE L’ERA DEL GRAN CAZZARO, LA STAGIONE DELLE BALLE ASSORTITE, DEL WANNAMARCHISMO ELETTO A METODO DI GOVERNO, DELL’ARROGANZA COME SISTEMA, DELL’OCCUPAZIONE DELL’ETERE. FINISCE L’ERA DELLE CONFERENZE STAMPA CON I PESCIOLINI, DEI TWEET SPREZZANTI, DELLE BANCHE AMICHE E DELLE PROMESSE MANCATE”

“A QUESTO PUNTO LA DOMANDA È: RESTERÀ SEGRETARIO PD? 

CERCHERÀ ORGANIZZARE LA SUA RIVINCITA? 

CHE FARANNO D’ALEMA E BERSANI? GLIELO PERMETTERANNO? 

O CHIEDERANNO LA SUA TESTA PER AVER GUIDATO IL PD A SCHIANTARSI CONTRO UNA SCONFITTA CLAMOROSA?”


Mario Giordano per “la Verità”

«Mi assumo la responsabilità della sconfitta». È mezzanotte e 20 quando Renzi compare davanti alle telecamere, con il volto segnato a lutto e un groppo in gola grande come la cupola del Brunelleschi. Ringrazia la moglie che è lì presente, i figli, tutti quelli che hanno lavorato per il sì. Poi annuncia: «La poltrona che salta è la mia. Domani pomeriggio salirò al Quirinale per rassegnare le dimissioni».
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Finisce così in una notte di dicembre nemmeno troppo fredda l’era del Gran Cazzaro. Finisce la stagione delle balle assortite, del wannamarchismo eletto a metodo di governo, dell’arroganza come sistema, dell’occupazione dell’etere, della montagna di bugie più fragili della difesa dell’Inter. Finisce l’era delle conferenze stampa con i pesciolini, dei tweet sprezzanti, delle banche amiche e delle promesse mancate. Un discorso sinceramente commosso, un sorriso in salsa fiorentina.
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«Bisogna scattare non galleggiare», dice il premier, ormai ex. E si sa, lui a galleggiare non ci riesce proprio. Infatti questa volta è andato proprio a fondo. Le voci di una possibile vittoria del No hanno cominciato a inseguirsi nel pomeriggio, spazzando via i dubbi dell’ultima settimana, che davano il sì in rimonta. L’alta affluenza alle urne è diventata così un’onda anomala che è montata via via, ora dopo ora, minuto dopo minuto, fino ad assumere l’aspetto di un gigantesco tsunami che si è abbattuto su Palazzo Chigi e ha travolto il suo inquilino in modo definitivo.
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«Nella politica italiana non perde mai nessuno, invece io ho perso», ha ammesso Renzi nella conferenza stampa notturna a Palazzo Chigi. «Lo dico a voce alta e con il nodo in gola». D’altra parte è sempre stato chiaro a tutti. Renzi ci ha messo la faccia più di tutti. Anche se negli ultimi mesi, forse su consiglio degli strapagati guru americani, ha sempre cercato di dribblare la domanda diretta, anche se ha sempre cercato di non dare risposte certe, lo spettro delle dimissioni è sempre stato lì, dietro le sue spalle, ha volteggiato sui comizi, ha fatto capolino dentro le sue reticenze o nelle dichiarazioni dei suoi uomini più fidati. Il premier ha percorso l’Italia, ha fatto mille comizi, si è speso in tv come non mai.
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Come se questa partita volesse giocarsela davvero tutta lui, in prima persona. O lo va o la spacca. O divento il dittatorello della Repubblica delle banane o me ne vado. Gli italiani la Repubblica delle banane non l’hanno voluta. Sono corsi alle urne, con una mobilitazione di massa che è difficile ricordare, e hanno spedito a Palazzo Chigi una lettera che non ha bisogno di ricevuta di ritorno. Renzi ha tanti difetti, ma è un ragazzo sveglio: ha capito subito.

Ancor prima che chiudessero le urne aveva convocato la conferenza stampa, lanciando il segno della sua resa. «Sono pronto a consegnare la campanella al mio successore», ha detto. Lasciando trasparire, dietro il sorriso amaro da fiorentino mazzolato, un filo evidente di veleno. Già: il successore. Ma chi sarà? La partita che si apre adesso, in effetti, è quanto mai interessante.
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L’unica cosa certa, a questo punto, è che oggi pomeriggio Renzi salirà al Quirinale per rassegnare le dimissioni. Non si può continuare a fare il leader contro la volontà degli italiani, si capisce. Ma che farà Mattarella? Il presidente è noto per i suoi silenzi, pare che anche nei soliloqui sia quello che sta più zitto. Però gli esegeti del mutismo quirinalizio, i ventriloqui del Colle, i corazzieri del giornalismo presidenziale si sono già espressi abbondantemente: il capo dello Stato molto probabilmente chiederà quello che in gergo si chiama «passaggio parlamentare ».

Cioè, in altre parole, riaccompagnerà Matteo all’uscio e lo inviterà a presentarsi in Parlamento per far maturare lì l’eventuale crisi. Nel frattempo le diplomazie dei partiti si metteranno al lavoro per trovare la via d’uscita, magari cercando di allontanare la cosa più temuta dal Palazzo: le elezioni. La cosa più naturale, infatti, sarebbe quella di mettersi rapidamente d’accordo per approvare una legge elettorale e portare finalmente gli italiani a scegliersi il governo, anziché prenderselo a scatola chiusa dai giochi di palazzo, come è stato nel caso di Renzi.

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Ma non è detto che la strada più naturale in politica sia quella più probabile. Anzi. Il discorso notturno di Renzi, a questo proposito, nella sua profonda dignità morale, era anche intriso di veleni: si faceva riferimento agli impegni futuri, alla legge di stabilità, al G7 di Taormina, e si lanciava quasi una sfida al fronte del No («Hanno vinto loro, ora devono fare la proposta sulla legge elettorale»). Sembravano messaggi in codice per dire a chi chiede elezioni in primavera: ne siete sicuri? E siete in grado di sostenerle? Lo dite voi a Mattarella?

Non è un mistero che sullo sfondo degli intrighi romani, nei bizantinismi della Capitale Puttana, già si profilino due soluzione ponte: il governicchio e il governissimo. Il governicchio sarebbe, sostanzialmente, una riedizione di Renzi ma senza Renzi: a guidarlo potrebbe essere l’attuale ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan (con la scusa che bisogno tranquillizzare i mercati), oppure l’attuale presidente del Senato Pietro Grasso detto Piero che non ha mai nascosto le sue ambizioni di carriera.

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Il governissimo, ovviamente, vedrebbe una riedizione del Nazareno, che potrebbe accordarsi per una legge elettorale proporzionale. In modo da escludere il «rischio 5 Stelle» e puntare al governissimo anche nella prossima legislatura. Sembra quest’ultima la strada più gettonata. E Renzi? Renzi ha annunciato le dimissioni da presidente del Consiglio.

Ma a questo punto la domanda è: resterà segretario Pd? Cercherà organizzare la sua rivincita? E che faranno D’Alema e Bersani? Glielo permetteranno? O chiederanno la sua testa anche per aver guidato il partito a schiantarsi contro una sconfitta clamorosa? Il paradosso è proprio questo: la vittoria del No è anche la rivincita della Ditta che Renzi che pensava di aver spazzato via per sempre.
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E dunque, se l’ex sindaco di Firenze dovesse essere coerente, dovrebbe lasciare anche le cariche di partito, oltre a quelle istituzionali, tenendo fede alle promesse di cui ha intessuto la sua storytelling: non diceva forse di non essere attaccato alla poltrona? Non diceva forse che non era un politico buono per tutte le stagioni? Non diceva forse che non voleva rimanere contro la volontà degli italiani? La volontà degli italiani, con buona pace di Renzi, non è mai stata più chiara. Lo vogliono consegnare alla storia. Lo vogliono mandare a pescare in riva a un fiume. O a giocare a tresette nei bar di Pontassieve. Ma chissà se sarà davvero così.

2 - MATTEO HA LA SINDROME DEL MARCHESE DEL GRILLO
maria elena boschi referendum costituzionaleMARIA ELENA BOSCHI REFERENDUM COSTITUZIONALE

«Mi dispiace, ma io so’ io e voi non siete un c...o». Matteo Renzi ha indubbiamente la sindrome del marchese Onofrio del Grillo. Ieri il presidente del Consiglio si è recato a votare nel seggio della scuola Edmondo De Amicis, a Pontassieve, insieme alla moglie Agnese Landini e ai figli. Giunto all’interno della sezione, Renzi si è diretto verso l’ufficiale di seggio competente per il rilascio delle schede elettorali e ha ammesso di non essersi portato dietro la carta di identità. Già, perché per votare al referendum su cui si gioca il proprio futuro politico, il premier come documento presenta il suo sorriso sempre un po’ sbruffone: «Io non ho il documento, ma spero di essere riconosciuto », ha detto, versione renziana del «lei sa chi sono io». O, meglio, «io so’ io»... E gli è stato permesso di votare.

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Fonte: qui

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