Istituzioni sempre più deboli. La società non investe più sul futuro: i giovani risultano più poveri dei nonni.
Il risultato?
La povertà cresce e crollano le nascite
Una società che si regge da sé, senza contare più su istituzioni indebolite, e che diventa così terreno fertile per il populismo.
L'Italia di Matteo Renzi, descritta dal cinquantesimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, è senza futuro.
Un Paese che ha abdicato qualsiasi speranza nelle istituzioni e che non investe più. Un'Italia in cui "il corpo sociale si sente rancorosamente vittima di un sistema di casta", mentre "il mondo politico si arrocca sulla necessità di un rilancio dell'etica e della moralità pubblica" e "le istituzioni sono inermi (perché vuote o occupate da altri poteri), incapaci di svolgere il loro ruolo di cerniera". E così, mentre aumenta la povertà e crescono le preoccupazioni nei confronti dell'immigrazione, le coppie smettono di fare figli e i giovani restano intrappolatio in lavori a basso costo e bassa produttività.
I giovani più poveri dei nonni
Sfiduciati dalla crisi, gli italiani si aggrappano al risparmio e non investono sul futuro. Le risorse dirottate nel salvadanaio impoveriscono la società e i giovani si ritrovano più poveri dei loro nonni. È un'Italia rentier, avara di speranze, dove l'immobilità sociale genera insicurezza. Tanto che, dall'inizio della crisi nel 2007, in Italia sono stati accantonati 114,3 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva. Una cifra maggiore del Pil dell'Ungheria. Per i millennial è un ko economico. I loro redditi sono più bassi del 15% rispetto alla media. Un gap che cresce al 26,5% se si fa il confronto con i loro coetanei di venticinque anni fa. La ricchezza dei giovani è inferiore del 41% rispetto a quella dei sessantenni, che stanno sempre meglio. Per gli over 65 il reddito infatti è aumentato del 24,3%. "La ricchezza dei millennial - si legge nell'analisi del Censis - è inferiore del 4,3% rispetto a quella dei loro coetanei del 1991, mentre per gli italiani nell'insieme il valore attuale è maggiore del 32,3% rispetto ad allora e per gli anziani è maggiore addirittura dell'84,7%". Il divario tra i giovani e il resto degli italiani si è ampliato nel corso del tempo perché venticinque anni fa i redditi dei giovani erano superiori alla media della popolazione del 5,9% (mentre oggi sono inferiori del 15,1%) e la ricchezza era inferiore alla media solo del 18,5% (mentre oggi lo è del 41,1%).
Gli italiani rinunciano a curarsi
"La scure non guarirà la sanità italiana. Gli effetti socialmente regressivi delle manovre di contenimento del governo si traducono in un crescente numero di italiani (11 milioni circa) che nel 2016 hanno dichiarato di aver dovuto rinunciare o rinviare alcune prestazioni sanitarie, specialmente odontoiatriche, specialistiche e diagnostiche". Secondo il Rapporto Censis, infatti, "il mercato del lavoro genera sempre meno opportunità occupazionali lasciando senza redditi un numero sempre più crescente di famiglie". Un impoverimento diffuso che non necessariamente coincide con la condizione di povertà economica: l'area del disagio sociale è infatti più ampia. "La deprivazione - si legge nel dossier - coinvolge anche famiglie che sono al di sopra della soglia di povertà.
Sono in condizioni di deprivazione materiale grave 6,9 milioni di persone nel 2014 (+2,6 milioni rispetto al 2010) e uno zoccolo duro di 4,4 milioni di deprivati di lungo corso, cioè almeno dal 2010".
I nuclei familiari in povertà alimentare sono oltre 2 milioni nel 2014 (pari all'8% del totale). E i minori in povertà relativa nel 2015 oltre 2 milioni (il 20,2% del totale). La crisi e la stentata ripresa generano un'incertezza diffusa che alimenta un pessimismo diffuso: solo pochi pensano di essere al riparo dal rischio di cadere in condizioni di disagio. Le famiglie in "deprivazione abitativa" sono 7,1 milioni nel 2014 (+1,7% rispetto al 2004). Quelle in "severa deprivazione abitativa" 826.000 (+0,4% rispetto al 2004). Circa il 20% ha problemi di umidità in casa, il 16,5% di sovraffollamento e il 13,2% di danni fisici all'abitazione. Le famiglie in deprivazione di beni durevoli sono 2,5 milioni nel 2014, di queste 775mila sono in gravi condizioni di deprivazione.
Sono in condizioni di deprivazione materiale grave 6,9 milioni di persone nel 2014 (+2,6 milioni rispetto al 2010) e uno zoccolo duro di 4,4 milioni di deprivati di lungo corso, cioè almeno dal 2010".
I nuclei familiari in povertà alimentare sono oltre 2 milioni nel 2014 (pari all'8% del totale). E i minori in povertà relativa nel 2015 oltre 2 milioni (il 20,2% del totale). La crisi e la stentata ripresa generano un'incertezza diffusa che alimenta un pessimismo diffuso: solo pochi pensano di essere al riparo dal rischio di cadere in condizioni di disagio. Le famiglie in "deprivazione abitativa" sono 7,1 milioni nel 2014 (+1,7% rispetto al 2004). Quelle in "severa deprivazione abitativa" 826.000 (+0,4% rispetto al 2004). Circa il 20% ha problemi di umidità in casa, il 16,5% di sovraffollamento e il 13,2% di danni fisici all'abitazione. Le famiglie in deprivazione di beni durevoli sono 2,5 milioni nel 2014, di queste 775mila sono in gravi condizioni di deprivazione.
Roma e Milano sempre più povere
Le capitali italiane - quella politica, Roma e quella finanziaria, Milano - pesano di meno per Pil delle omologhe aree urbane delle altre nazioni del vecchio Continente. "Sono molti i Paesi europei in cui la capitale - spiega il Censis - condensa in misura straordinaria popolazione e soprattutto ricchezza. Stoccolma, Bruxelles, Vienna, Lisbona, Praga pesano per oltre il 30% della rispettiva ricchezza nazionale. Milano e Roma, pur con il loro primato nazionale, pesano ciascuna per poco meno del 10% del Pil italiano". All'interno di questa 'fotografià rientra la difficile strada dell'autonomia abitativa dei giovani italiani. In Italia la generazione dei millennial ha un peso demografico scarso: i giovani di 20-34 anni rappresentano appena il 16,4% della popolazione totale, la percentuale più bassa tra i Paesi dell'Unione europea. E sono in diminuzione: oggi non arrivano a 11 milioni (erano quasi 15 milioni nel 1991), mentre la popolazione anziana (13,4 milioni) è in costante crescita. Anche le nostre grandi aree urbane, se paragonate a quelle del resto del continente, risultano le meno giovani: la quota di popolazione tra 20 e 34 anni si attesta al 15-16% a Roma, Milano e Torino. I giovani di 18-24 anni ancora in famiglia in Italia sono il 92,6%, nella fascia di età 25-34 anni la quota scende al 48,4%: dati molto elevati rispetto alla media dell'Ue (rispettivamente, 78,9% e 28,9%).
Il calo della popolazione e l'allarme demografico
In Italia le coppie sono sempre più "temporanee, reversibili e asimmetriche, ma autentiche". Nell'ultimo anno sono nati fuori dal matrimonio 139.611 bambini (+59,9% in un decennio), pari al 28,7% del totale: dieci anni fa erano il 15,8%. "Emerge insomma - rileva il Censis - l'erosione delle forme più tradizionali di relazionalità tra le persone e il contestuale sviluppo di modelli diversi". Vince, insomma, la spinta ad abbassare le barriere di ingresso e di uscita nelle relazioni affettive. I millennial sono per l'80,6% celibi o nubili (il 71,4% solo dieci anni fa), mentre i coniugati sono il 19,1% (erano il 28,2%). L'Italia non è un Paese per genitori. Che nel Belpaese si facciano troppi pochi figli e sempre più avanti negli anni è una consapevolezza ormai diffusa nell'immaginario collettivo. Nel sentire comune, la prima causa imputata rispetto al crollo delle nascite è la grave e perdurante crisi economica. Il Censis segnala, infatti, come "senza stranieri il rischio è il declino". Nell'ultimo anno l'allarme demografico ha raggiunto il suo apice: diminuisce la popolazione (nel 2015 le nascite sono state 485.780, il minimo storico dall'Unità d'Italia a oggi), la fecondità si è ridotta a 1,35 figli per donna, gli anziani rappresentano il 22% della popolazione e i minori il 16,5%. "Senza giovani né bambini - si legge nel report - il nostro viene percepito come un Paese senza futuro".
L'allarme immigrazione e il terrorismo
Sono l'immigrazione e il terrorismo le due questioni che più preoccupano l'Europa e l'Italia. Paure che hanno portato il 65,4% degli italiani a modificare le proprie abitudini. Nell'immediato, il 73,1% ha evitato di fare viaggi all'estero, il 53,1% ha evitato luoghi percepiti come possibili bersagli di attentati (piazze, monumenti, stazioni), il 52,7% ha disertato luoghi affollati (cinema, teatri, musei, sale per concerti, luoghi della movida), il 27,5% non ha preso la metropolitana, il 18% ha evitato di uscire la sera. In realtà la stragrande maggioranza degli italiani è convinta che queste microstrategie non siano sufficienti a risolvere problemi che avrebbero bisogno di una governance condivisa sul terreno dell'ordine pubblico e dell'intelligence.
Fonte: qui
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