SORPRESA ALLA TRUMP TOWER: ARRIVA IL GENERALE PETRAEUS, CHE PUÒ SPARIGLIARE IL DUELLO SUL POSTO DA SEGRETARIO DI STATO TRA RUDY GIULIANI E MITT ROMNEY
Maria Giovanna Maglie per Dagospia
Arrivano i nostri! Sorpresa alla Trump Tower, dove il presidente Trump è tornato dopo il lungo fine settimana di Thanksgiving in Florida, è arrivato il mitico generale Petraeus e tutti tremano perché se tra i contendenti al posto di segretario di Stato finisce che la spunta lui, è una bella bomba per la politica estera degli Stati Uniti ed è soprattutto una grande rassicurazione sull'impegno americano nel mondo.
La diatriba probabilmente concordata sulla scelta del ministro più potente del governo americano è l'argomento del giorno assieme alla dichiarazione fatta dal presidente eletto sulla possibilità di annullare gli accordi raggiunti da Barack Obama con Cuba.
Donald Trump ha seguito il suo stile ancora una volta e non si è unito né al coro delle prefiche mondiali in lode di Fidel Castro morto né all'altro coro dei possibilisti che affidano alla storia il giudizio finale su quello che Trump ha definito invece un brutale dittatore. Il giorno dopo l'insediamento, il 21 gennaio, il nuovo presidente a dire la verità può annullare con una firma numerose decisioni prese con decreto esecutivo dall'attuale presidente, e questo agita molto le lobby intorno a Obama che pensano ai loro affari giustamente.
Barack Obama un po' fa il garante delle istituzioni svillaneggiare dal Partito Democratico in agitazione suprema da sconfitta, un po’ pensa al mestiere suo dal 21 gennaio e fa il pompiere rilasciando dichiarazioni nette e distensive sul fatto che “la elezione di Donald Trump riflette accuratamente la volontà del popolo americano”.
Ma non basta perché nel Partito Democratico la confusione allla vigilia del la resa dei conti, ma anche nello staff smisurato della Clinton la frustrazione dopo la certezza di vittoria, sono tali che la mano della piccola candidata verde Jill Stein è stata armata, il Partito Democratico ha finto di accodarsi per rispetto della legge, è in Wisconsin è stato autorizzato il riconteggio dei voti.
Naturalmente quando la differenza di voti è bassa, poco più di ventimila a favore di Trump, il riconteggio è legittimo ma è anche inutile perché se sono pochi quei voti di differenza sono anche troppi per essere modificati da un riconteggio, a meno di non credere alle chiacchiere surreali sugli hacker e le potenze straniere.
Donald Trump non ha taciuto neanche questa volta, anzi ha emesso tweet durissimi ventilando anche una spiegazione sua sulla differenza a favore della Clinton nel voto popolare, ovvero che in Stati come la California è stato permesso agli illegali di votare. Sarà anche accaduto, io non mi stupirei, ma significa mettere in dubbio la legalità della intera elezione, meglio non scherzare.
Tuttavia c'è una precisa ragione negli strepiti del presidente eletto, ovvero Trump manda a dire ai democratici guardate che il vostro gioco è chiaro, state provando a farci arrivare al 19 dicembre, quando i grandi elettori depositano il voto ufficiale, con i conteggi aperti. Se dopo il Wisconsin anche Michigan e Pennsylvania cominciano un riconteggio autorizzato e il 19 dicembre quei voti non vengono portati come definitivi alla riunione dei grandi elettori, Trump sta a 260 voti e la sua nomina diventa opzione del Congresso.
Poiché la maggioranza è repubblicana, il Congresso lo elegge ma il progetto di delegittimazione può proseguire sui giornali nelle cancellerie internazionali e nelle piazze. I media non hanno cambiato atteggiamento, giornali come il New York Times il Washington Post e televisioni come la Cnn, scivolata al terzo posto negli ascolti, non ritengono in alcun modo scandaloso che Hillary Clinton autorizzi un riconteggio dopo aver espressamente dichiarato che la vittoria di Trump era legale, ma ritengono scandaloso che il presidente eletto risponda insinuando che dei clandestini degli illegali abbiano votato.
Oppure, quel che è peggio, se Donald Trump annuncia che l'accordo che ha messo fine a embargo e sanzioni con Cuba, poiché è frutto di privilegio del presidente, potrebbe saltare se da L'Avana non arrivano promesse concrete sulla libertà dei cubani e sui prigionieri politici, il titolo è “Trump minaccia Cuba”.
A tutto questo dovrebbe mettere fine l'avvio di una resa dei conti seria nel Partito Democratico che faccia fuori la vecchia guardia liberal in favore di nuovi leader più moderati. Insomma, fuori le Nancy Pelosi, dentro i Tim Ryan. Il deputato del Ohio, 43 anni, ha lanciato la sfida alla veterana capogruppo in una lettera al caucus nazionale, dichiarando che il risultato disastroso delle elezioni dimostra che il partito ha bisogno di una nuova direzione e di nuovi leader.
La Pelosi ha risposto che ha due terzi del Caucus che la sostengono senza neanche muovere un dito, Ryan le ha risposto di non esserne più così sicura e ha poi spiegato che il Partito Democratico sta perdendo la sua base, la classe lavoratrice, e che se la leadership del partito rimane intoccata non si potrà mai recuperare.
Intanto alla Trump Tower c'è l'ospite inatteso, il possibile sparigliatore della rissa tra Mitt Romney e Rudy Giuliani per il posto fondamentale il segretario di Stato. Petraeus è un generale a quattro stelle e l'eroe prima dell’Afghanistan poi dell'Iraq dove arrivo e rovescio una situazione terribile cambiando tattiche e strategie e cominciando a vincere. E’ stato direttore della CIA con Obama, costretto alle dimissioni perché aveva una relazione con la sua biografa e le aveva passato alcuni documenti classified, riservati.
Anche in campagna elettorale Donald Trump ne ha difeso la reputazione, peraltro intatta tra gli americani, spiegando che la colpa di Petraeus era davvero veniale rispetto allo scandalo delle mail trafugate e poi fate sparire da Hillary Clinton segretario di Stato.
Certo, dopo le dimissioni Petraeus è diventato presidente di un istituto il KKR che analizza per importanti compagnie americane le tendenze globali. È stato in giro per il mondo, Asia Medio Oriente America Latina. Quando fu nominato direttore della CIA il Senato lo votò 94 a 0; ora sarebbe una nomina contrastata per alcuni versi visto lo scandalo delle dimensioni, ma sarebbe una nomina fortissima.
Petraeus ha già detto che quando il presidente chiama un soldato obbedisce, ha anche cortesemente contestato in campagna elettorale le critiche alla campagna dell'Iraq di Donald Trump, e durante una conferenza stampa a Washington il mese scorso ha parlato dell'ipotesi di una no fly zone in Siria e di maggior sostegno militare per i gruppi siriani che combattono contro Assad, ma anche contro quelli che combattono l'Isis. Insomma, non ha opinioni eguali a quella di Trump su rapporti con Mosca.
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